La “sostenibile” leggerezza dell’essere: lo spirito di responsabilità che guida il gruppo Teddy
Intervista a Luca Galvani, Head of sustainability del Gruppo Teddy cui fanno capo i marchi d’abbigliamento Terranova, Calliope, Rinascimento e QB24.
Il Gruppo Teddy è una realtà in grado di competere su scala globale nel settore con un fatturato consolidato superiore a € 672 milioni di euro (dati al 2023). Il Gruppo, attraverso i marchi che commercializza è presente tramite le attività retail (negozi monomarca) e wholesale (ingrossi) in oltre 90 nazioni di tutto il Mondo. Nato nel 1961 a Rimini, da oltre 60anni, persegue il sogno di costruire “una grande azienda che guadagni molto per creare occupazione e una parte degli utili destinarli ad opere sociali, sia in Italia che all’estero” (Vittorio Tadei, fondatore del Gruppo Teddy).
Leggiamo dal Sole 24ore: “Centocinquanta inaugurazioni. Sono quelle previste dal piano di sviluppo 2024 di Gruppo Teddy, cui fanno capo i marchi d’abbigliamento Terranova, Calliope, Rinascimento e QB24. Un piano che a fine anno o nei primi mesi del 2025 porterà il Gruppo ad avere un migliaio di negozi in tutto il mondo. Un cambio di passo rispetto alle cento aperture registrate negli ultimi anni…” Ecco, ci pare già un incipit significativo rispetto a chi siete e dove volete andare. Potrebbe spiegarci cosa “bolle in pentola” nel gruppo Teddy?
È un piano sicuramente molto sfidante poiché lo scenario dell’ultimo anno non è il più confacente che ci si potesse aspettare. Dalla geopolitica al clima… il business del settore moda è messo sotto pressione ed è anche difficile fare previsioni. Tuttavia, il Gruppo Teddy cercherà di portare avanti quei principi che sono alla base del proprio “essere”. Crescere sempre di più per creare occupazione e investire nelle persone. Il cliente prima di essere tale è una persona e il nostro desiderio è quello di condividere con lui un percorso verso il significato della Sostenibilità e degli aspetti di responsabilità che governano il prodotto che sceglie.
La sostenibilità è come se fosse un “brand” di per sé stesso. Ci potrebbe raccontare il vostro approccio come Gruppo?
Io sono entrato in Teddy 5 anni fa e ho potuto lavorare sin da subito con un forte commitment della proprietà grazie al quale, insieme, abbiamo gettato le basi per affrontare lo scenario attuale in cui le nuove normative europee metteranno paletti molto precisi in termini di trasparenza e gestione degli impatti. Dapprima ci siamo dotati di una “governance della sostenibilità” creando un ufficio e un team dedicato. In seguito, siamo partiti dalla formazione dei dipartimenti aziendali, per poi definire un piano strategico che coprisse le 3 dimensioni della sostenibilità: Sociale, Ambientale ed Economica. Abbiamo investito tantissimo in percorsi formativi, a partire dal management e dalle funzioni di responsabilità. Oggi ognuno agisce all’interno del suo ruolo considerando gli aspetti sociali ed ambientali. Abbiamo ingaggiato la Supply chain dando priorità agli aspetti sociali guidando la filiera produttiva al rispetto degli standard internazionali di riferimento. Abbiamo un programma di audit e di monitoraggio molto attento non solo a individuare i problemi ma anche a supportare le fabbriche a risolverli. Abbiamo introdotto percorsi strutturati per ridurre gli impatti ambientali, in particolare dovuti alla chimica e alle emissioni. Siamo membri di ZDHC (Zero Discharge Hazardous Chemicals) che ci permette di guidare i fornitori verso una gestione più responsabile dei prodotti chimici nei processi. Abbiamo aderito all’iniziativa Science Based Target, a cui abbiamo sottomesso gli obiettivi e i piani di riduzione delle emissioni al 2031 in linea con gli obiettivi del settore derivanti dagli accordi di Parigi del 2015. Questo ci permetterà di monitorare il percorso su base scientifica e comparabile. Lavoriamo per costruire un modello di business più circolare: abbiamo aderito alla Global Fashion Agenda e con lei proponiamo soluzioni per il riciclo degli scarti da taglio nei paesi di produzione. Abbiamo anche un programma per il recupero dei capi post-consumo, così da destinarli ad una seconda vita. Infine, abbiamo introdotto da qualche anno fibre a minor impatto o certificate dandoci un target pubblico del 50% di prodotti con tali fibre entro il 2025. Insomma, il quadro è molto vasto all’interno del quale ricorre spesso il riferimento ad iniziative globali. Riteniamo infatti che molti obiettivi di sviluppo sostenibile del settore possano essere raggiunti lavorando insieme e condividendo strategie e soluzioni con i fornitori come parte integrante del business. Siamo membri di CASCALE che rappresenta il più importante Gruppo di Lavoro internazionale nel settore moda che cerca di individuare strategie e soluzioni al fine di raccogliere da tutta la filiera, in modo strutturato e uniforme, i dati di performance sociale e ambientale. Ci stiamo focalizzando nell’integrazione di questi dati nella struttura operativa del nostro business, vale a dire fornitori e prodotto, oltre che per prendere decisioni strategiche, anche per arrivare alla stesura del nuovo report di sostenibilità governato dalla CSRD, che sarà un vero e proprio strumento di Governance e di Risk Management per l’azienda.
Lei spesso nelle interviste o interventi pubblici sottolinea come il “fattore culturale” svolterebbe il concetto stesso di sostenibilità. Potrebbe spiegarci meglio cosa intende e se questo è davvero decisivo nel cambiamento dei processi di produzione e consumo?
Il fattore culturale è sicuramente fondamentale per il futuro dello sviluppo sostenibile. Si parla molto e forse troppo di sostenibilità su tutti i canali di comunicazione e, oserei dire, politici, ma, purtroppo, senza molta “conoscenza” sul significato della parola e di tutto quello che vi sta dietro. In realtà cerchiamo di insegnare al consumatore ma anche ai nostri colleghi, come abbiamo visto, cosa significano quei termini che sentono continuamente nominare sui media, sui social e nella vita quotidiana in genere. Questo sarà fondamentale anche affinché il cliente dia il giusto peso e valore al prodotto che compra, indipendentemente dal prezzo che paga. In questo speriamo che le nuove norme sulla comunicazione e sul greenwashing ci vengano in aiuto standardizzando i messaggi spendibili.
A proposito di Fast Fashion, è un fatto consolidato che essa abbia trasformato i vestiti in articoli usa e getta, generando un grave problema nell’uso smodato di materie prime e nella produzione di rifiuti. Esiste, secondo lei, una ricetta per porre rimedio a tutto questo?
Ritorniamo su alcuni fattori già anticipati nelle risposte precedenti: la circolarità sicuramente potrà aiutare a diminuire gli impatti delle produzioni massive e le norme dedicate sicuramente sono rivolte a quest’obiettivo. Tuttavia, penso che la migliore soluzione al problema sia la transizione culturale che deve attuarsi e che probabilmente è già in atto tra le giovani generazioni.
L’ultima giornata della Milano Fashion Week si è conclusa con la consegna dei Fashion Awards 2024. Al Teatro alla Scala, hanno sfilato designer e star internazionali tra look d’archivio e creazioni all’avanguardia. Che ne pensa di questi riconoscimenti? Aiutano a sensibilizzare il mondo della moda ad essere più sostenibile o sono solo “armi” distrazione di massa?
Tutto ciò che parla di sostenibilità aiuta a sensibilizzare a patto che si affianchi a percorsi educativi: c’è molta consapevolezza ma poca conoscenza.
Di Michele Scalvenzi