Le regioni italiane tra consumo e sostenibilità

Il legame tra l’Italia e l’acqua è profondo e radicato nel tempo, un elemento che ha segnato il territorio, la storia e la cultura del nostro Paese. Dai miti antichi, come la fondazione di Roma legata al Tevere, fino alle celebrazioni letterarie che attraversano i secoli – dalle chiare, fresche et dolci acque di Petrarca al lago di Como che apre I Promessi Sposi di Manzoni – l’acqua ha rappresentato una presenza costante e fondamentale. Circondata per tre quarti dal mare e attraversata da innumerevoli laghi e fiumi, l’Italia dipende profondamente da questa risorsa, non solo per il paesaggio che l’acqua definisce ma per il ruolo insostituibile che svolge nello sviluppo sociale ed economico delle comunità. Oggi, questo legame ci chiama a una responsabilità crescente: gestire in modo sostenibile una risorsa sempre più preziosa e limitata.
Secondo l’ISTAT, il consumo medio pro capite di acqua potabile in Italia è di circa 220 litri al giorno, uno dei più alti in Europa, a fronte di una media europea di circa 120-150 litri. Questa realtà si scontra con segnali sempre più evidenti di stress idrico, accentuati dal cambiamento climatico e dalla dispersione delle infrastrutture, che arriva a toccare punte del 40% in alcune aree del Paese. Da questa consapevolezza nasce la necessità di misurare l’impronta idrica delle attività produttive, delle regioni e dei singoli cittadini, al fine di sviluppare strategie efficaci per ridurre i consumi e preservare tale risorsa.
L’impronta idrica è un indicatore che misura il volume complessivo di acqua dolce utilizzata direttamente o indirettamente per produrre beni e servizi. In Italia, questa misura varia notevolmente da regione a regione, influenzata sia dalle abitudini di consumo sia dalla disponibilità naturale delle risorse idriche. Ad esempio, sempre secondo l’ISTAT, regioni del Nord come Lombardia e Veneto, caratterizzate da un elevato sviluppo industriale e agricolo, registrano un consumo totale di acqua di circa 6 miliardi di metri cubi all’anno, con l’agricoltura che assorbe circa il 60%, l’industria il 20% e il restante 20% destinato al settore civile, principalmente per l’uso domestico e pubblico. Nelle regioni del Sud, come Sicilia e Puglia, il consumo totale è sensibilmente inferiore, attestandosi intorno a 2-3 miliardi di metri cubi all’anno, con il 50% destinato all’agricoltura, il 10% all’industria e il restante 40% al settore civile. Questa differenza nei consumi totali evidenzia la diversa disponibilità idrica e il livello di pressione sulle risorse locali. La scarsità d’acqua in alcune aree ha spinto all’adozione di strategie innovative e virtuose per preservare e ottimizzare il consumo della risorsa, come l’introduzione di tecnologie di irrigazione avanzata e il riuso delle acque reflue.
Modelli di gestione virtuosi
Le regioni italiane più esposte al rischio idrico hanno sviluppato modelli di gestione dell’acqua che possono diventare esempi virtuosi. La Puglia, ad esempio, ha investito in sistemi di irrigazione a basso consumo per l’agricoltura, introducendo tecnologie di microirrigazione, che permettono di distribuire l’acqua direttamente alle radici delle piante, riducendo gli sprechi fino al 40% rispetto ai metodi tradizionali. Parallelamente, la regione ha incentivato pratiche di riuso delle acque reflue trattate per usi agricoli. La Sicilia, dove l’acqua è storicamente una risorsa limitata, ha promosso l’uso del desalinizzamento, un processo che rimuove il sale dall’acqua marina attraverso tecnologie come l’osmosi inversa, rendendola adatta per usi potabili e agricoli. Questo metodo, sebbene energivoro, ha contribuito a incrementare la disponibilità di acqua di circa il 15% nelle aree più critiche dell’isola. Questi esempi dimostrano come la consapevolezza del rischio idrico possa trasformarsi in un motore per l’innovazione, promuovendo modelli di gestione integrata delle acque che coniugano tutela ambientale e sviluppo economico.
Una tra le soluzioni più efficaci e innovative implementate in Italia è rappresentata dal sistema duale di gestione delle acque dell’Aeroporto di Roma Fiumicino, come illustrato da Rossella Bozzini, Head of Sustainability di Aeroporti di Roma, durante la conferenza di UN Global Compact Network Italia del 29 novembre dal titolo “Tutela della biodiversità e uso efficiente della risorsa idrica”. L’aeroporto accoglie oltre 40 milioni di passeggeri l’anno, con un incremento del 20% nel 2024. Essendo il più trafficato d’Italia, richiede un prelievo significativo di acqua e una gestione articolata per il suo smaltimento. Per ridurre i consumi, l’aeroporto ha adottato misure di efficientamento che includono il rilevamento immediato delle perdite tramite monitoraggio avanzato, temporizzatori nei rubinetti e sistemi specifici per ottimizzare l’uso dell’acqua nei terminal. Un esempio concreto è rappresentato dalla differenziazione delle qualità delle acque con il concetto di “acque multiple”: attraverso la creazione di una rete duale, viene utilizzata, per usi non potabili, come i servizi igienici e l’irrigazione delle aree verdi, l’acqua recuperata dall’impianto di trattamento o prelevata direttamente dal Tevere. L’acqua potabile, invece, viene riservata esclusivamente agli usi essenziali, come i servizi di ristorazione e i lavandini. Questo approccio ha portato a utilizzare solo il 25% del prelievo totale di acqua potabile, con una riduzione complessiva dei consumi di oltre il 55% rispetto al 2012, senza mai interrompere l’operatività dei terminal. L’aeroporto sta inoltre implementando nuovi progetti per migliorare ulteriormente l’efficienza idrica, come l’installazione di un impianto a osmosi inversa, l’uso di sensori IoT per il monitoraggio costante della pressione e della portata, e l’adozione di sistemi di machine learning in grado di rilevare anomalie e perdite in tempo reale. Un’altra innovazione riguarda il ripristino, nelle zone antistanti i controlli aeroportuali, di lavandini in cui l’acqua che non può essere trasportata in aereo dai passeggeri viene recuperata e smaltita nella pubblica fognatura, contribuendo a un ulteriore risparmio e al riutilizzo della risorsa.
L’Italia, con la sua storia e la sua cultura profondamente legate all’acqua, ha il dovere di guidare la transizione verso un uso più sostenibile di questa risorsa. Le differenze regionali ci insegnano che, anche nelle situazioni di maggiore criticità, è possibile sviluppare soluzioni efficaci e replicabili, capaci di trasformare il rischio in opportunità. Esempi virtuosi come quello dell’Aeroporto di Roma dimostrano che l’innovazione tecnologica e la gestione responsabile delle acque possono andare di pari passo con lo sviluppo economico e ambientale. L’auspicio è che queste esperienze si diffondano sempre più, diventando modelli da seguire per aziende, istituzioni e cittadini. La tutela dell’acqua non è solo una necessità, ma una responsabilità collettiva che guarda al futuro del nostro Paese e delle prossime generazioni.
Di Giulia Abbondanza