Riduzione delle emissioni e crescita economica: paradosso o opportunità?

É possibile ridurre le emissioni di CO2 senza compromettere la crescita economica di un Paese, anzi perseguendola. É la strada che i Paesi industrializzati hanno già intrapreso dal 1990 ed è necessaria non solo per raggiungere gli obiettivi climatici globali ma rappresenta anche un’opportunità per creare economie resilienti e migliorare il benessere sociale.
Quasi due terzi della CO2 accumulata oggi nell’atmosfera sono stati emessi dal 1980, e quasi il 40% dal 2000. Storicamente, le emissioni di CO2 sono state strettamente legate al reddito: più denaro si ha, più energia si consuma e quindi più emissioni si producono. Tuttavia, per i Paesi con un PIL elevato, questa relazione non è più valida, poiché molti di essi hanno raggiunto la crescita economica riducendo le emissioni, disaccoppiando quindi i due fattori. Un esempio di come questo processo sia possibile e vantaggioso anche per i Paesi in crescita economica come la Cina, ci viene offerto dalla città di Qingdao, ex città industriale dipendente dal carbone che ha avviato una transizione green.
Secondo l’analisi di Our World in Data, fino alla fine del 1900, i maggiori emettitori di anidride carbonica erano l’Europa e gli Stati Uniti, Paesi caratterizzati da un rapido sviluppo industriale e da economie avanzate, che hanno trainato la crescita globale al costo di elevate emissioni. Dal 2000, la Cina è entrata in gioco come nuova potenza economica e industriale e il suo rapido sviluppo ha portato a un massiccio aumento delle emissioni di CO2. La Cina è oggi il Paese con il più alto livello di emissioni, corrispondenti a 11,4 miliardi di tonnellate di CO2 prodotte nel 2021 (corrispondenti a circa il 28% delle emissioni totali), più del doppio degli Stati Uniti.
Dai dati del 2020, l’Asia risulta quindi la più grande emettitrice mondiale, con il 60% del totale delle emissioni di CO2. Europa e Stati Uniti, fino al secolo scorso in testa alla classifica, oggi rappresentano poco meno di un terzo del totale, grazie ad una riduzione sostanziale delle emissioni, pur riscontrando parallelamente una crescita del PIL. Includendo nello scenario anche i paesi a basso reddito, vediamo come l’Africa contribuisca con un 3,8% sul totale delle emissioni. La disparità è evidente: in appena 2,3 giorni, un cittadino medio degli Stati Uniti emette la stessa quantità di CO2 che un abitante del Mali produce in un anno.
Qingdao: un esempio virtuoso di decarbonizzazione e sviluppo economico
Così come Europa e Stati Uniti, anche la Cina sta andando verso la stessa direzione di disaccoppiamento tra emissioni e crescita economica. Nonostante rimanga al primo posto nella classifica dei Paesi più inquinanti, è allo stesso tempo lo stato che sta investendo di più sulla transizione energetica, come confermano i dati del Global Energy Monitor.
Caso emblematico preso in esame nel report Cities100, è quello di Qingdao, una città costiera cinese con circa 12 milioni di abitanti che ha deciso di intraprendere un percorso verso la decarbonizzazione che vada di pari passo con lo sviluppo economico, ambientale e sociale della città. Qingdao, avendo affrontato gravi problemi di inquinamento dovuti alla dipendenza dal carbone, ha deciso di promuovere la crescita verde, puntando su efficienza energetica e innovazioni nel campo delle energie pulite. Sono stati introdotti regolamenti per migliorare l’efficienza energetica degli edifici, ridurre il consumo di energia per il riscaldamento e offrire incentivi finanziari. Dal 2012 sono stati investiti oltre 550 milioni di dollari in energie rinnovabili e ristrutturazioni, con più della metà dei fondi provenienti da risorse pubbliche. Un approccio particolarmente innovativo riguarda il teleriscaldamento: Qingdao sta investendo 3,5 miliardi di dollari in una rete di riscaldamento pulita che utilizza pompe di calore e calore di scarto dall’industria e dal sistema fognario, riducendo la dipendenza dal carbone.
I benefici ambientali includono la riduzione del consumo di carbone di oltre tre milioni di tonnellate all’anno e una diminuzione di emissioni di CO2 di otto milioni di tonnellate all’anno. Socialmente, la crescita verde ha attratto investimenti e creato circa 10 milioni di posti di lavoro. Dal punto di vista economico, si stima che la riqualificazione degli edifici inefficienti porterà un risparmio di circa sei milioni di dollari all’anno. Infine, l’uso di energia pulita ha migliorato la qualità dell’aria, con una diminuzione di concentrazione media annua di PM2.5 da 66 μg/m3 nel 2013 a 45 μg/m3 nel 2017. Allo stesso modo, la qualità dell’acqua e del suolo è aumentata, migliorando la vivibilità per la popolazione.
Come abbiamo visto, la ricchezza è quindi strettamente correlata alle emissioni di CO2, ma le decisioni politiche e gli investimenti nelle nuove tecnologie possono avere un impatto significativo nel modificare questo schema. Il legame tra inquinamento e sviluppo economico non è inevitabile. Sebbene molti paesi abbiano inizialmente sacrificato l’ambiente per la crescita, esistono strade alternative che consentono uno sviluppo sostenibile. Investire in tecnologie verdi, energie rinnovabili e infrastrutture sostenibili non è solo una necessità a livello ambientale, ma anche un’opportunità per creare economie resilienti e benessere sociale.
Di Giulia Abbondanza