Ambiente, non c’è niente da ridere

“Siamo addomesticati dalle comodità, ma ci piace pensarci come ecologisti perché facciamo la doccia invece del bagno. E chi potrebbe cambiare le cose non ha il coraggio di farlo”. Non usa mezze misure Giovanni Storti, il Giovanni del trio con Aldo e Giacomo. Ci ha abituati a un alto tasso di comicità, ma da appassionato della natura non gli va proprio di scherzare, specie se si tratta di smascherare un certo ambientalismo di facciata.

Nato e cresciuto a Milano, come ha scoperto la natura?

Negli anni 60 e 70 d’estate facevamo tre mesi di vacanza e io li trascorrevo nelle montagne del lecchese, dai miei nonni. Un territorio allora selvaggio, sembrava di essere in Amazzonia. Mi arrampicavo sugli alberi, mi perdevo nei boschi, insomma mi godevo tutta quella natura. Lì è nata la scintilla, oggi le piante sono fra i miei primi interessi. Con amici ho preso della terra nel Monferrato, il massimo.

Quali sono i gesti che fa quotidianamente per difendere l’ambiente?

Faccio tutto, la differenziata, cerco di ridurre i consumi di acqua e luce, ma credo che sia veramente poca cosa. Il meccanismo più importante è fare pressione sui politici. I piccoli gesti aiutano, i pannelli solari, piantare alberi, … ma è solo la politica che può cambiare il corso del nostro disastro. Il meccanismo vero è spingere sulla politica, spingere i politici a cambiare direzione.

I giovani riusciranno a salvarci da noi stessi o glielo impediremo?

I giovani stanno facendo tanto, sono bravi, soprattutto i più giovani. Non sempre hanno le idee chiare ma si stanno impegnando molto. Ma credo che non ce la faremo, io sono un pessimista, se ci guardiamo intorno siamo veramente alla frutta, anzi: al caffè.

Cos’è la cosa che la preoccupa di più?

Vedo che le cose stanno precipitando malamente e chi può cambiarle si limita a fare cose di facciata. Mi preoccupa che non si possa più fare il bagno nei fiumi, che si taglino alberi importanti, che non si curi il verde nella città, che si pensi sempre a costruire. E’ tutto l’insieme che sta andando al collasso.

La nostra generazione dove ha sbagliato?

Questo pensiero che la natura fosse matrigna, fosse contro di noi e quindi dovessimo tenerla lontana dalle nostra città nasce da molto lontano. Invece le piante sono quelle che ci consentono di vivere, che hanno creato l’ambiente dove viviamo, che lo ricreano con l’ossigeno, con la costruzione della terra. Forse perché sono così diverse da noi che sembrano aliene, le trattiamo come delle cose, abbiamo trattato la natura come una nemica, soprattutto noi occidentali. Ce ne siamo allontanati e adesso non abbiamo la cultura per cambiare le cose.

Una piccola storia: c’è questo vecchio maestro orientale del 1300 che tutti i giorni deve andare a prendere l’acqua per il suo orto a 200 metri. Un allievo gli propone di scavare un piccolo canale per evitare la fatica. Il maestro lo guarda e gli chiede: ‘E poi, dove andremo a finire?’. E’ estremo, ma dice della mentalità che domina da almeno duecento anni. Siamo comodi, ma siamo addomesticati dalle cose che ci circondano.

Come usciremo da questo periodo di pandemia?

Molto male. Guardando il passato queste pandemie vanno e vengono. Certo, ora abbiamo la grande fortuna dei vaccini, ma una pandemia poteva durare 100 anni, e non ci muovevamo come facciamo oggi. Non so se ne usciremo completamente, e in Italia mi sembra che si pensi sempre in piccolo.

La politica con i fondi della Next generation avrà a disposizione fondi importanti. Se potesse influenzare le scelte su cosa punterebbe?

Sicuramente sulle alternative verdi, su un cambio di rotta epocale. Perché poi ce la menano sempre con la transizione energetica, ma anche qui basta guardare al passato. Durante la guerra, quando c’era qualcosa di molto pressante come i bombardamenti, una paura vera, tutto è cambiato clamorosamente nel giro di una settimana, l’industria metalmeccanica è diventata in poco tempo industria bellica. Vuol dire che tutto si può fare, ma in questo momento la percezione che il mondo stia andando a rotoli non è così forte da spingerci a far qualcosa.

La foresta brucia? Sì, ma noi siamo qui. La corrente del golfo diminuisce? Sì, ma noi siamo qui. Si verificano due tifoni mai visti prima in Trentino? Sì, ma… e così via. Non c’è una percezione vera del pericolo, quindi la svolta faticherà a esserci. Si rimanda. La gente non ha abbastanza paura per fare questa transizione, i politici tanto meno.

Eppure oggi una delle parole che si pronuncia di più è sostenibilità.

Per costruire un’auto elettrica ci vuole il 38% di energia, di acqua, di materie prime in più. Se poi la alimenti con energia che viene da fonti fossili, impoverisci ancora di più la natura. Uno spreco epocale, il litio non si sa ancora come smaltirlo. Sono stato in Bolivia, in un posto magnifico, il deserto salato di Atacama. Da quando estraggono il litio è diventato un posto invivibile.

Non si tratta solo di riciclare, non devi più costruire cose dannose per l’ambiente. La plastica ha cambiato il mondo, ma quando ti accorgi che una cosa è pericolosa devi fermarti. Non è che devi fare la plastica riciclabile, non devi fare più la plastica.

Servirebbe più coraggio?

Ci vuole più coraggio. Il sindaco di Parigi ha dichiarato che gli Champs-Élysées diventeranno un giardino verde. Se a Milano togliessimo le automobili da Corso Buenos Aires ci sarebbe una sollevazione popolare. A Parigi faranno quel vialone immenso con giardini, piste ciclabili, giochi per bambini. Certo che non è abbastanza, ma è un segno forte.

Costruire bellissimi palazzi con il verde verticale, che costano 25mila euro al metro quadro e puoi solo guardare non lo è.  Il verde pubblico deve essere di tutti, voglio un giardino pubblico, che si riaprano i Navigli. Il verde verticale è bello ma chi se lo gode? Questo è tornare al passato rivestendolo di futuro. E’ un gioco finto, se questo è il futuro siamo spacciati. Gli intellettuali pensano che quello sia il futuro, invece il futuro è fare un grande giardino dove i cittadini possono andare. Certo, uno spazio verde non porta soldi. Vogliamo sempre soldi? Allora costruiamo case belle, per i giocatori di calcio e gli sceicchi.

Io abito in una casa di ringhiera piena di verde, allora sono avanti cent’anni? E non ho nemmeno avuto bisogno di costruire un palazzo. Centinaia di metri cubi di cemento, garage per centinaia di macchine, condizionatori a manetta… Il travestimento delle cose mi irrita molto.

Oltre ad essere appassionato è anche un po’ arrabbiato?

Un po’ lo sono. Le compagnie petrolifere presentano entusiaste che producono il 20% di energia pulita e poi cercano di trivellare dall’Africa al Mar Mediterraneo. Ma è un meccanismo che abbiamo tutti, se faccio la doccia invece del bagno mi sento un ecologista. Finiremo come gli abitanti dell’isola di Pasqua, che hanno tagliato tutti gli alberi per costruire i loro bellissimi monumenti, fino a rimanere senza fonti di cibo e doversene andare.

di Vanna Toninelli

Articolo pubblicato sul numero 1 di Riflessi, marzo 2021