Cop 26, bene ma non benissimo

Un disastro, un mezzo fallimento, un percorso complicato ma che ha dato comunque frutti. Sul successo (o meno) della Cop 26 abbiamo letto di tutto. Emanuele Bompan può aiutarci a capire cosa sia successo davvero. Giornalista ambientale e geografo, dirige la rivista Materia rinnovabile e commenta su quotidiani e periodici nazionali i temi dell’economia circolare, dei cambiamenti climatici e della sostenibilità. Collabora con Ministeri e Fondazioni ed è autore di libri come l’Atlante geopolitico dell’Acqua, Water Grabbing – le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo e Il mondo dopo Parigi. L’accordo sul clima visto dall’Italia: prospettive, criticità e opportunità. Giornalista per la Terra nel 2015, ha vinto per quattro volte l’European Journalism Center IDR Grant.

“Innanzitutto la Cop va valutata da tre punti di vista: la componente tecnica negoziale, il motivo per cui di fatto i delegati dei diversi Paesi si riuniscono; gli obiettivi politici, che stabiliscono i principi e le priorità e infine le decisioni multilaterali, che sono poi quelle che finiscono nei titoli dei giornali.

La parte negoziale è stata un successo, sanando il fallimento della Cop di Madrid, che si era chiusa senza accordi sulla finanza climatica e sui meccanismi di trasparenza, ma anche sugli impegni di decarbonizzazione degli Stati. E’ positivo ad esempio che anche nazioni come l’Arabia Saudita e la Cina abbiano approvato le tabelle con i criteri di trasparenza, cosa non scontata.

Bene anche gli accordi multilaterali come quello sulla riduzione delle emissioni fuggitive di metano – quelle che si liberano in atmosfera durante l’estrazione e trasporto del gas naturale, ma anche con allevamento -, dove è stata approvata la riduzione del 30% entro 2030. Europa, Usa e Cina hanno anche previsto grossi investimenti per ridurre le emissioni fuggitice, con i quali si possono ottenere effetti tangibili nel breve termine.

L’Italia dal canto suo ha annunciato una riduzione dei sussidi alle fonti fossili entro il 2022, firmando un impegno di elimininare i sussidi per gli investimenti in petrolio e gas all’estero ed è entrata a far parte degli “Amici della Beyond Oil and Gas Alliace”, per lasciare petrolio, gas e carbone nel suolo.  Certo, entrare nell’Alleanza come vero memrbo sarebbe stato un segnale più forte. Su questo Cingolani non ha avuto coraggio.

Le note negative quali sono state?

Quelle riguardano l’impegno politico. Questa Cop è stata per la prima volta dominata dai movimenti, grazie alla visibilità di Greta Thumberg e dei Fridays for future. La loro voce ha denunciato soprattutto tre elementi che riguardano i Paesi più vulnerabili: l’insufficienza degli accordi sul tema Loss and Damage, sulle assicurazioni contro i fenomeni climatici catastrofici. I Paesi sviluppati hanno espresso la volontà di impegnarsi e hanno una responsabilità non solo morale, perché sono stati a lungo i maggiori inquinatori. Difficile distinguere però quando un evento meteo catastrofico è dovuto al climate change e quando no.

C’è poi il tema della finanza climatica, che non ha raggiunto l’obiettivo dei 100 miliardi l’anno fino al 2025. nNn è irrilevante che ne siano stati stanziati circa 80 e che si siano introdotti meccanismi per rafforzare i carbon market che potranno contribuire a generare risorse per sostenere i paesi più vulnerabilli e meno sviluppati.

Il Patto siglato alla Cop 26 riguarda comunque 52 decisioni. Inoltre si segnala l’attivismo della finanza privata, che può essere una grande alleata, anche se non è possibile scaricare tutto sul privato, il ruolo dei fondi pubblici rimane centrale.

Se per alcuni paesi il bicchiere appare vuoto o mezzo vuoto, non è detto che non si riesca a riempire alle prossime COP. Il clima fra i partecipanti alla Cop 26 è molto cambiato, in meglio, rispetto alle passate edizioni.

Molti lamentano il mancato stop all’uso del carbone.

Dal punto di vista globale è un grande fallimento, ma occorreva mediare per tenere Cina, India, Russia e Arabia Saudita all’interno del processo di cambiamento. Il mondo industrializzato ha una grande responsabilità in questo, ma è difficile attuare l’assioma di una responsabilità comune, differenziata per peso storico dei volumi di CO2 emessi.

Ora cosa dobbiamo aspettarci?

Visto che ora può funzionare a pieno titolo l’Accordo di Parigi, ogni Paese deve compilare i propri obiettivi nazionali, se non fosse ancora stato fatto. Per tutti sarà possibile fare il punto sullo stato di avanzamento, aggiornando già il prossimo anno i propri NDC. Occorre lavorare su adattamento e “loss & damage”. Vedremo quindi se gli impegni finanziari assunti saranno mantenuti.

Proprio perché ora è il momento  dove diviene centrrale il ruolo dei cittadini nel fare pressione perché gli obiettivi siano raggiunti è fondamentale. Fra nazioni invece occorre agire con determinazione sul piano diplomatico per spingere ad agire gli stati riluttanti su alcuni temi, penso ad esempio al Brasile sulla deforestazione. Se fosse necessario, in questo caso potrebbero essere utili anche sanzioni non formali.

Che priorità dovrebbe darsi il nostro sistema Paese?

L’assoluta priorità è la normativa: non abbiamo regolamenti idonei per attuare con urgenza alcune azioni. Prendiamo gli impianti per le energie rinnovabili, spesso bloccati per questioni paesaggistiche. Serve un nuovo Piano Energia e Clima e una Strategia Per l’Economia Circolare.

A seguire il mondo dell’edilizia deve assolutamente rinnovarsi. Il bonus sull’efficientamento energetico è una bella iniziativa ma avvantaggia di fatto i cittadini con redditi più alti e rischia di avere effetti poco incisivi, sulla decarbonizzazione proprio perché in Italia sullo smart building resta ancora molto da fare. Abbiamo pochi progetti di altissimo livello nelle grandi città, ma nel resto del Paese esiste poco o nulla. Senza dimenticare che l’attuale difficoltà nel reperire alcune materie prime potrebbe spingere, per stare nei tempi, ad impiegare materiali di minor qualità. E’ nell’interesse dello stesso comparto, che rischia di vivere una nuova crisi occupazionale una volta terminati gli incentivi.

Le imprese private, che per certi versi hanno anticipato l’attuazione degli accordi di Parigi, come si muoveranno?

Si stanno già muovendo e continueranno a farlo, perché in questo caso la logica del capitale e la logica green coincidono. Le indicazioni finanziarie sono già molto chiare sui rischi che comporta investire nei carburanti fossili.

Perché si parla tanto di carbone e così poco di acqua, che pure in alcuni Paesi è fonte di guerre e un problema igienico sanitario pressante?

Perché l’acqua è una vittima della situazione attuale, mentre il carbone è una causa, che incide anche sulla disponibilità idrica, sull’aumento dei fenomeni estremi, sullo scioglimento dei ghiacciai. E’ comunque interessante sottolineare la poca attenzione al tema idrico. Occorre lavorare sul rischio idrogeologico, rendere resilienti le infrastrutture e l’agricoltura. Vedremo importanti cambiamenti nella geografia dell’acqua, non solo cambiamenti climatici. Oltre all’acqua un tema poco citato ma di grande importanza è quello della biodiversità. A breve si aprirà un importante negoziato in Cina su questo argomento, che influisce molto sulla vivibilità del pianeta ed ha un ruolo fondamentale per preservare gli ecosistemi. Se ne parla troppo poco.

di Vanna Toninelli