Europa, svegliati!

Giulio Sapelli, fra i maggiori economisti italiani, non fa sconti: il Vecchio Continente si è scoperto impreparato, prima al Covid e ora «alla follia della guerra». E sulla transizione energetica…

«Fine della globalizzazione? No. Fesserie, per non dire di peggio. A leggere i giornali sembra che stia per finire tutto… Non è così. L’unica fine sarebbe la bomba atomica, che non è all’ordine del giorno. E poi, guardi che il mondo era più globalizzato dopo la Prima Guerra mondiale di quanto non lo sia ora».

Ecco, se si cerca una lettura controcorrente della situazione attuale – e dell’impatto che la guerra in Ucraina avrà a medio termine su mercati e società –, conviene chiedere a lui. Giulio Sapelli, 75 anni, economista e storico dell’economia, già docente all’Università di Milano e membro del Cda di Eni (e di Unicredit, Ferrovie dello Stato e tante altre), è consigliere di amministrazione della Fondazione Enrico Mattei e Presidente del Comitato scientifico del Centro di studi e di Storia dell’impresa, oltre che autore di testi da studiare per bene, per capire che piega stia prendendo l’economia globale.

L’ultimo, Nella storia mondiale. Stati, mercati, guerre (edizioni Guerini), è di pochi mesi fa: non poteva prevedere l’invasione russa e il caos in cui siamo immersi, ma dava input utili a orientarsi in un mondo che era molto meno global di quanto si immagini – e meno pronto alla transizione energetica – anche prima delle mosse di Putin. «Oggi sulle merci ci sono un sacco di vincoli e dogane… Ad essere globalizzata è l’economia finanziaria, quella sì: l’unica merce che va in tutto il mondo a costi di transazione tendenti allo zero è la moneta. Su tutto il resto, abbiamo difficoltà da anni: sono esplose con il Covid, e adesso con la guerra. Ma c’erano anche prima».

Parla della carenza di materie prime?

Non solo. Avevano grandi problemi nella movimentazione delle merci, per dire. Non si è previsto che appena sarebbe ripartita l’economia, avremmo avuto code immense di navi e un aumento enorme dei noli marittimi. Tutte cose che adesso la guerra ha accentuato. Ma la vera rottura è stata con la pandemia.

Che cosa non abbiamo fatto negli ultimi due anni e avremmo dovuto fare, a prescindere dalla guerra?

Anzitutto, evitare l’aumento dei prezzi. Parlo delle materie prime, e anche delle fonti fossili (molti scambiano le fonti con i vettori: l’energia elettrica non è una fonte, è un vettore). Pensi al gas, per esempio, uno dei grandi problemi di queste settimane: avremmo dovuto tornare da tempo ai vecchi contratti “take or pay”, che formavano i prezzi sulle quantità fisiche. Oggi il prezzo del gas si fa ancora alla Borsa di Amsterdam, che è una borsa a tutti gli effetti, con futures, opzioni e via dicendo. Non abbiamo fatto nulla per evitarlo. E continuiamo a vivere in un mondo finanziarizzato in cui l’energia si paga con le scommesse finanziarie.

Che in momenti come questo impazziscono: ce ne accorgiamo dalle bollette e alla pompa di benzina… 

Ci sono anche movimenti speculativi, non c’è dubbio. Ma per la volatilità dei mercati contano meno, rispetto alla tensione scatenata dalla guerra e alla fibrillazione dei prezzi delle materie. Se poi ci aggiunge il fatto che anche le materie prime necessarie alla cosiddetta transizione energetica – cadmio, stronzio, litio eccetera – sono addirittura più care di petrolio, gas e carbone, ha un’idea dei guai che attraverseremo per anni, per via di questa doppia follia.

Perché «doppia»?

Oltre alla grande follia di Putin che ha invaso l’Ucraina – qualcosa di mistico, quasi religioso –, abbiamo la spinta assurda degli Usa a non pagare il gas russo. Se ci toccherà comprare quello americano, che arriva via nave in un continente privo di rigassificatori, vedrà a che prezzi arriveremo… Non è detto che ci sarà energia elettrica per tutti.

Ma è realistico immaginare che l’Europa si stacchi dai tubi di Putin entro 2-3 anni, come si sta ipotizzando?

No. Da lì arrivano quasi 150 miliardi di metri cubi di gas naturale. L’America è disponibile a darcene 15 miliardi, faccia un po’ il conto… Poi c’è un altro problema grave, che nessuno solleva: i carburanti. La gente pensa che l’Italia importi benzina: no, importiamo petrolio. Che poi va raffinato. Peccato che in Europa di raffinerie non ce ne siano quasi più. In Italia ci sono solo quelle bio-fuel dell’Eni.

Continueremo ad essere dipendenti dai fossili?

Guardi, gli scenari sono imprevedibili. Ma io non credo che il blocco del gas russo sarà portato a termine. Può essere che la trattativa vada in porto. Sa, la Russia è un Paese quasi sottosviluppato, adesso. Le cosiddette liberalizzazioni di Eltsin e soci l’hanno trasformata: negli anni Sessanta andava sulla luna, oggi ha un’economia che vive esportando combustibili fossili e grano. Ha solo una grande scuola matematica, e per questo è uno dei Paesi più forti nella cyberwar.

Ma ora le sue materie prime hanno altri mercati di sbocco: la Russia può vendere anche a Est…

Sì, ma è complicato. Servono pipeline, nell’Asia Centrale non vai in nave. Può esportare gas e petrolio verso la Cina, certo. Ma non basta. Anche la Cina è in difficoltà economiche. Vede che non si parla più di Via della Seta? No, la verità è che la Russia resta collegata organicamente con la Germania e con l’Europa. Il resto sono fantasie giornalistiche. Gli osservatori più seri non credono a questi cambiamenti di colpo. La storia non fa salti.

E l’Europa, appunto? Finalmente si parla di acquisti centralizzati, coordinamento energetico, spinta verso la transizione…

Sì, ma per fare queste cose serve un sistema giuridico unificato: un solo Ministero degli Esteri, del Commercio, dell’Energia. Senza una vera unione federale, non ci riesci. Se tutte le volte per prendere una decisione devi mettere d’accordo 27 capi di stato e sei in mano a una burocrazia che non capisce nulla di politica, diventa impossibile. L’Europa così come è, se non si dà una Costituzione federale, non può fare una vera politica energetica comune. Arriverà troppo tardi.

Ma alla fine questa situazione accelera o rallenta la transizione energetica? In fondo, siamo spinti a cercare alternative.

Mah… A me pare una follia pensare che la acceleri. Come si fa? Servono migliaia di miliardi di investimenti. Soprattutto se si immagina di farla negli anni preventivati dai vari incontri di Parigi, Cop e conferenze simili. Sono ispirate da buoni principi, ma guardano solo il pallottoliere e non la logica. Per fare pannelli solari dappertutto, le pellicole energetiche sulle case e robe del genere, servono tempi lunghi e investimenti pazzeschi.

Appunto: c’è chi dice che finora è mancato il coraggio, ma adesso siamo obbligati a farli…

Sì, ma poi si lavora con le mani, i camion, le gru… Oltre ai soldi, ci vogliono anni a fare certe infrastrutture. Pensi alle pipeline, per restare all’energia: i cinesi, che sono i cinesi, per costruire quella con i russi ci hanno messo dodici anni. Dodici. Il South Stream è stato abbandonato anche perché non si riusciva a posare i tubi nel Mar Nero, dove c’è un fondo pieno di acido solforico. La natura non è detto che sia sempre amica: anzi, come diceva Leopardi a volte è matrigna.

Non è uno scenario ottimistico…

Ma è realistico. Bisogna guardare le cose come stanno, per cambiarle.

 

di Davide Perillo

 Articolo pubblicato sul numero 5 di Riflessi, aprile 2022