Moda sostenibile: il percorso tracciato dalle nuove normative europee
Lo scorso 22 settembre, il Teatro alla Scala di Milano ha ospitato la cerimonia dei CNMI Sustainable Fashion Awards 2024, un evento che celebra personalità e aziende del settore della moda che si sono distinte per visione, innovazione e sostenibilità.
La serata, presentata dall’attrice e attivista Freida Pinto, ha visto l’assegnazione di premi come il Visionary Award, assegnato a Brunello Cucinelli per la sua capacità di creare un modello imprenditoriale virtuoso, e il Groundbreaking Award a Golden Goose per l’impegno nello sviluppo di materiali sostenibili.
L’evento, svoltosi al termine di uno degli appuntamenti dedicati alla moda più celebri al mondo, ovvero la Milano Fashion Week, dimostra l’impegno sempre più profuso all’interno del settore – in questo caso, dell’alta moda – nell’abbracciare un futuro fatto di pratiche sostenibili.
Non da sottovalutare, in questo contesto, l’enorme spinta che ha seguito l’approvazione del Green Deal Europeo con la pubblicazione di due nuove normative europee – la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD) e il Regolamento sui Prodotti Sostenibili (ESPR), che – accompagnati dal concetto di Extended Producer Responsibility (EPR) – prevedono cambiamenti radicali per l’intera industria del fashion.
Ma cosa comporteranno concretamente per il settore questi nuovi obblighi normativi?
CSDDD: Trasparenza e responsabilità lungo la filiera
La CSDDD richiede alle aziende di monitorare e gestire attivamente gli impatti ambientali e sociali lungo l’intera filiera produttiva, compresa la catena di fornitura. La direttiva obbliga di fatto le imprese a identificare e mitigare potenziali danni, come le violazioni dei diritti umani o i disastri ambientali, e a definire piani di transizione climatica per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.
Questa normativa, seppur rivolta inizialmente solo alle aziende di grandi dimensioni, avrà un effetto domino su tutti gli attori e i settori. Le aziende saranno chiamate a eseguire rigidi controlli sui fornitori, instaurare meccanismi di reclamo e a fornire risarcimenti in caso di impatti negativi. Questa complessità pone l’accento sulla tracciabilità, una delle principali sfide del settore tessile.
ESPR: l’Ecodesign come risposta
Parlando di tracciabilità, non si può prescindere da un riferimento al nuovo Regolamento sui Prodotti Sostenibili (ESPR), che rappresenta un vero e proprio punto di svolta per l’industria della moda.
Questo regolamento mira a ridurre l’impatto ambientale dei prodotti attraverso la progettazione ecocompatibile, richiedendo che i prodotti tessili siano più duraturi, riparabili e riciclabili. Gli standard fissati dall’ESPR obbligano le aziende a considerare l’intero ciclo di vita dei prodotti, dal design alla produzione fino al fine vita. Questo implica non solo l’utilizzo di materiali sostenibili, ma anche la progettazione di capi che possano essere facilmente scomposti e riciclati.
Inoltre, l’ESPR introduce l’obbligo di trasparenza per le aziende, richiedendo un’etichettatura chiara e dettagliata che informi i consumatori sull’impatto ambientale del prodotto, compresa la quantità di materiale riciclato utilizzato e le emissioni generate durante la produzione.
Un elemento centrale del regolamento è il concetto di passaporto digitale, che permette di tracciare l’intera storia di un prodotto, favorendo una maggiore responsabilità e consapevolezza nella gestione del fine vita dei capi. Questo sistema consentirà un facile accesso a informazioni critiche per migliorare la circolarità e ridurre lo spreco tessile.
L’EPR, infine, chiede che i produttori siano responsabili – attraverso l’imposizione di una tassa – della gestione del fine vita dei prodotti che immettono sul mercato, incentivando pratiche di riciclo e di riduzione degli sprechi. Le aziende dovranno sviluppare sistemi per tracciare e gestire gli articoli invenduti, evitando che vengano distrutti, e dovranno implementare soluzioni innovative per garantire il riutilizzo e il riciclo dei materiali.
I costi della transizione Green
Abbiamo visto come le normative impongano un ripensamento totale della progettazione dei capi in primis, ma anche dell’intero ciclo di vita del prodotto stesso, fino al suo smaltimento. Una domanda che può sorgere spontanea è: chi supporterà i costi di questa – necessaria – transizione green europea?
Le normative, tradotte in leggi nazionali, suggeriscono un graduale e giusto bilanciamento delle responsabilità. Ad essere avvantaggiate dal nuovo panorama saranno le aziende che già adottano pratiche sostenibili e che possiedono una catena del valore più semplice e corta: pensiamo alle piccole medie imprese italiane, per esempio, che hanno fatto dell’artigianato il loro marchio di fabbrica. Le grandi multinazionali del fast fashion sembrano invece avere i giorni contati, a meno che non ripensino totalmente la loro catena di fornitura, mettendo al primo posto la qualità delle materie prime e il rispetto dei diritti umani. Infine, i marchi di lusso, potranno dettare l’esempio, cambiando per il meglio le loro pratiche di approvvigionamento.
Gli stati nazionali potranno da una parte tassare le pratiche insostenibili e dall’altra fornire incentivi alla transizione. Infine, i cittadini avranno maggiori strumenti per valutare attentamente le loro scelte di consumo: la consapevolezza sul reale costo di produzione degli abiti e degli accessori esposti, non potrà che incentivare acquisti più ridotti, ma attenti. Dall’altra, il mercato del second hand, anche dei prodotti di lusso, già in impennata negli ultimi anni, non farà che attirare sempre più consumatori.
di Anna Filippucci